Nell’area sud-occidentale della Basilicata si colloca, in posizione panoramica splendida, sul crinale dei colli Motta, Serra e Poggio, Rivello uno dei paesi più suggestivi di tutta la regione.
A differenza di quanto si possa pensare, l’attuale borgo sorge di fronte il nucleo insediativo originario che si era sviluppato alcuni secoli prima sulla collina di Serra Città. Quest’ultimo, dice la leggenda, sarebbe scomparso a causa di un’invasione di formiche giganti e l’odierno abitato si sarebbe costituito tra il VI e VIIII secolo d.C.
Più o meno nello stesso periodo era stata distrutta sulla costa campana, ad opera dei pirati saraceni, la città di Velia, la vecchia Elea greca dove era sorta la scuola filosofica di Parmenide che da essa aveva preso il nome. Osservando lo stemma del paese si legge la scritta: “Iterum Velia Renovata Rivellum” (VeIia di nuovo ricostruita è Rivello), nonché sul frontespizio della chiesa di San Nicola un’altra iscrizione riporta: “Olim Velia, Nunc Renovata Rivellum”.
Questi fatti fanno dunque pensare che i Velini fuggiaschi avrebbero fondato Re- Velia, come risulta chiamato il paese nel primo documento ufficiale risalente all’XI secolo (Bolla di Alfano I arcivescovo di Salerno – 1079, atto costitutivo della diocesi di Policastro).
Oltre i profughi cilentani, certamente contribuirono altre popolazioni a formare il nucleo urbano. I Longobardi del Ducato di Benevento si stabilirono nella parte “alta” dell’abitato dove sulla Motta edificarono una delle roccaforti più avanzate del territorio. I Bizantini occuparono invece il Poggio, cioè la parte “‘bassa” intorno all’anno 1000 e le Comunità Basiliane. Forse tra il XII e il XIII secolo si sarebbero venuti a stanziare qui colonie gallo-italiche provenienti con probabilità dal Monferrato in quantità piuttosto elevata tanto da imporre la loro parlata. Infatti la zona di provenienza risentiva maggiormente del linguaggio usato nella Gallia Cisalpina, nella quale il latino si era sviluppato in modo del tutto particolare.
I due gruppi principali però, non riuscirono a prevalere gli uni sugli altri e giunsero così ad una insolita coesistenza. La conseguenza fu lo svilupparsi di due relativi centri distinti, con due culture, usi, tradizioni e soprattutto religioni diverse. I Velini e i Longobardi praticarono il culto latino nella chiesa di San Nicola, i Bizantini il rito greco presso la chiesa di Santa Maria del Poggio.
Questa diversità portò a dispute e lotte tra gli opposti cleri e, di conseguenza, tra gli abitanti dei quartieri per molti secoli.
All’inizio ed alla fine del paese per questo motivo c’erano due porte che, la sera o in caso di invasione nemica, venivano chiuse.
A testimoniare la presenza di queste popolazioni rimangono ancora visibili i resti di due fontane, quella dei Longobardi e quella dei Greci costruite nelle zone da essi rispettivamente occupate, dove le donne dell’epoca andavano ad attingere acqua e a lavare quando non avevano grossi carichi da portare al fiume e che servivano anche per abbeverare gli animali.
Alla scissione del Ducato di Benevento, Rivello fu incorporato nel Principato di Salerno. Quando i Normanni conquistarono l’Italia meridionale, gli abitanti del paese si schierarono con essi, poi passò nelle mani degli Angioini ed infine fu feudo dei Sanseverino. Nel 1576 il paese riscattò la sua indipendenza, dietro pagamento di 13000 ducati ai principi di Monteleone . La Regia Corte lo rivendette a Daniele Ravaschiero a cui furono versati 36000 ducati. Il 6 gennaio 1719 Rivello riscattò per la seconda e definitiva volta la sua indipendenza dietro pagamento di 55000 ducati e quattro cantàra di salame rivellese da versare ogni anno a Orazio Pinelli Ravaschiero, Duca di Acerenza e Principe di Belmonte, come risulta dall’atto “Restituta Libertas, pagina 10, conservato e consultabile da anni presso l’archivio municipale. In questo modo l’Università (come era chiamato allora il comune) veniva a dipendere solo dalla Maestà del Re.
Il paese attraversò così un periodo di floridezza economica. Lungo il corso del fiume Noce c’erano ramiere e ferriere che sfruttavano l’acqua per fornire prodotti semi-lavorati alle cento botteghe che vi erano a Rivello. Qui provetti maestri contornati da nugoli di discepoli, rifinivano abilmente gli utensili con cui si presentavano alle fiere della regione, del Cilento, della Calabria, della Puglia e anche della lontana Sicilia. L’agricoltura forniva uva e olive di buona qualità da cui si ricavava vino ed olio anch’essi destinati in parte ad essere venduti nella regione e in parte fuori. In questo momento il paese raggiunse anche il maggior incremento demografico superando i 5200 abitanti, compresa la frazione di Nemoli, che divenne indipendente il 1° gennaio 1834.
Agli inizi del 1900 lo splendido artigianato rivellese andò perduto a causa della massiccia emigrazione di giovani soprattutto verso le Americhe. (fonte: sito ufficiale Comune di Rivello)
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