Siamo alla fine di giugno – nei giorni 27,28,29- è la festa di S. Pietro. Il quartiere fiume celebra la festa più antica di Lauria. Questa fiera aveva avuto inizio nel tempo in cui i monaci abitavano il piccolo convento di S. Bernardino, sulla riva sinistra del fiume cafaro, dove vi era la piccola chiesa di S. Pietro (forse s. Pietro, nel suo viaggio, dalla Sicilia a Roma, è passato proprio in questa zona perché proprio sul cafaro passava la strada consolare romana fatta costruire dal console Popilio nel 132 a.C.). di questa chiesetta distrutta dall’incendio dei francesi non resta nessuna traccia, ma i cittadini di Lauria, tanto devoti a questo santo, in futuro penseranno di ricostruirla. La fiera degli animali, che era la più importante di tutta la regione, si svolgeva il 27 ed il 28 giugno. Gli animali ed i loro pastori alloggiavano nel vincolato, in casolari semi diroccati e sotto i pioppi e i faggi robustissimi che, con la loro chioma riparavo, di giorno dal caldo e di notte dalla brezza notturna. C’erano: buoi, tori, muli, cavalli, asini, maiali, pecore, capre, tacchini e papere. Sembrava di essere in un piccolo zoo. Venivano allestite, nella zona del vincolato delle osterie all’aperto, sotto i tralci dove si consumavano le fritture di patate con carne e peperoni (soffritto) insieme alla verdura cotta, condita col piede di maiale conservato in salamoia, i lupini portati da Nemoli, i salami di Castelluccio, le ricotte di Sirino ed il formaggio del Pollino, tutto bagnato dal buon vino locale. La fiera dei manufatti, delle scarpe, dei tessuti, degli attrezzi agricoli e delle cose più impensate (tanto che, quando una cosa era difficile trovarla sul posto si diceva: dobbiamo aspettare la fiera di S. Pietro) si svolgeva da piazza Sanseverino al lavatoio. La gente era tanta ed il tutto era animato da figure che adesso non ci sono più. C’era l’ombrellaio che aggiustava gli ombrelli, c’era il domatore di serpenti che arrivava con il suo grosso cesto con i rettili, e, prendendone in mano uno alla volta li mostrava agli astanti e, qualche volta, riusciva pure a farli ballare. Venivano le donne che vendevano la fortuna, ossia: in una gabbia c’era un uccellino che ad un cenno prendeva col becco un fogliettino su cui era stampato un possibile futuro e lo porgeva a chi lo comprava. C’era l’uomo con due scimmiette che, a richiesta, eseguivano esercizi, ed anche questo era spettacolare. Arrivava l’uomo sui trampoli e la gente lo guardava incantata. Veniva il vasaio che non solo vendeva i vasi ed i piatti di terracotta ma ricuciva anche piatti e pentole rotte. C’erano i giocolieri con i cerchi e con le aste. Poi il gelataio con i coni di gelato e vendeva anche la neve che arrivava da Sirino sui muli, in recipienti rivestiti di paglia. Arrivava l’uomo abruzzese con l’orso che eseguiva balli col suo domatore. Ma c’era soprattutto il pianino che era un grammofono a corda che diffondeva le ultime canzoni di successo e in questa occasione vendeva i testi di dette canzoni e, accompagnato da un organetto, ancora i cantastorie con i loro teatrini. Era una giornata di continua allegria e spettacolo. Presso il lavatoio non mancava la zia Marianna, di Maratea, con centinaia di panini pieni di scapece “favolosa scapece” che si rimpiangeva per un anno intero. Poi le donne di Trecchina che vendevano le “serte di castagne” e l’uomo di Castrocucco con i suoi primi fichi-fiori. A mezzogiorno, in mezzo a tanta animazione, sotto un sole cocente, arrivava la processione di S. Pietro seguita da gente venuta dalle contrade più lontane, gente arrivata a piedi o a dorso di asino, che con tanta fede cantava PORTANCINNE M’PARAVISU PE’ LA SANTA CARITA’. Succedeva però che la processione numerosissima in discesa era molto esigua nel risalire in chiesa perché tutti restavano nella fiera per comprare le tante cose e per riposarsi all’ombra dei famosi tigli, accanto all’acqua fresca. Questo rito si ripeteva ogni anno, a cui ognuno voleva partecipare, rappresentava l’attacamento e l’omaggio alla propria terra e faceva sentire uniti in un amore fraterno. Oggi si ignorano queste tradizioni che hanno unito i nostri avi per una testimonianza della propria discendenza. Teresa Mandarino
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