La emigrazione, questo fenomeno dell’italica storia, che, soprattutto dalla seconda metà del 1800, ha “portato” un numero enorme di lucani e calabresi, in particolare, a sbarcare in ogni angolo del mondo, “in cerca di fortuna”, è costellata e costruita su migliaia e migliaia di vicende umane, tutte meritevoli di essere riportate e, seppur in qualche misura, ricordate per essere tramandate alle generazioni più giovani e a quelle a venire che, di quella epopea, non hanno o potrebbero non avere una visione aderente alla realtà e, in ogni caso, necessitano di avere almeno una cronaca la più ampia e puntuale, se e quanto, possibile, per conservare “quei giorni della memoria”.
La “ricostruzione” delle pagine di questa umana avventura “scritte” da tanti conterranei, dei quali ci interessiamo da lunga pezza (abbiamo pubblicato, qualche tempo fa, ad esempio e tra le altre, la epopea di un “gruppo di trecchinesi emigrati”), anche se ormai a far testo…sono i discendenti, va operata, tentata, quanto meno abbozzata, magari partendo solo da un esempio, come nel caso di specie, perché a volte racchiude singoli “racconti” stupendi e positivi o tragicamente avvincenti.
Premessa necessaria: dai primi del 1800 e per alcune decine di anni le “mete della emigrazione”, da Aieta, S. Nicola, Scalea, S. Domenica, Rivello, Trecchina, ecc., che utilizzava “i remi o le scarpe”, furono i paesi del Mediterraneo, la Spagna, la Francia, la Corsica, le nazioni del nord Africa, ecc.
Dal 1860 al 1960 circa, da Aieta, Praja, Tortora, Scalea, S. Nicola Arcella, Lauria, Maratea, ecc., i primi, con “barche a vela” che facevano la spola dall’isola Dino o da S. Janni a Napoli, “coraggiosi” che vollero…fortissimamente vollero “attraversare” l’Atlantico raggiungevano, dopo una notte di navigazione lungo il Tirreno settentrionale, il porto partenopeo dove si “imbarcavano” su “vapori” dai quali, dopo circa un mese di rotta verso il Brasile, l’Uruguay, l’Argentina, il Venezuela, così come verso il Centro America, “sbarcavano” quasi come sulla “terra promessa” che, in tantissimi casi, si mostrava però subito per quello che era e cioè un continente difficile, dove i “soldi non si trovavano…per strada” e dove l’inserimento nel tessuto sociale del paese ospitante non sempre era agevole (la maggiore difficoltà era il leggere e lo scrivere negli idiomi locali).
Era necessario, per poter programmare di approdare in quelle lontane plaghe, e pochi adesso lo ricordano, uno specifico “atto di richiamo”, una specie di fideiussione, da parte di un parente che già era inserito nella “nuova patria” e che poteva e doveva garantire lavoro e accoglienza ai nuovi aspiranti ad emigrare.
Più difficile fu l’arrivo, in quello stesso arco temporale, di nostri connazionali sia in America del Nord che in Australia, per le restrizioni sul numero degli “ammessi” che quelle nazioni operavano, anche se gli esempi, nell’enclave del Noce, di coloro che riuscirono a partire, per quelle mete lontane, non mancano (vi sono “casi” persino per il Sud Africa, la Nuova Zelanda, ecc.).
Centinaia di questi “primi emigranti”, una volta giunti nel nuovo continente, si “persero”, poi, nella “pampa” argentina o nei latifondi uruguayani o lungo le dorate spiagge brasiliane, venezuelane, cilene, ecc., e non diedero più “notizia” alle famiglie di origine o di appartenenza, soprattutto alle mogli e ai figli, che erano “rimaste” in ansiosa e speranzosa attesa lungo il basso Stivale, mentre altri, pochi, “trovarono la…Merica”, un lavoro stabile ed un inserimento sicuro, e “richiamarono”, dopo un certo lasso di tempo, i propri cari con i quali si ricongiunsero in Rio, S. Paolo, Montevideo, Buenos Aires, ecc. e diedero così “il via”…ad altre e nuove vicende…ad altre e diverse avventure!
Esempio splendido per tutti: l’attuale Pontefice, che siede sul soglio di S. Pietro, Papa Francesco, è figlio di emigranti piemontesi che approdarono in Argentina agli inizi del novecento!
La messa in funzione della ferrovia Reggio Calabria-Napoli, nell’ultimo ventennio del 1800, “favorì” gli spostamenti verso i porti di imbarco, soprattutto in Campania, che registrarono, per molti e lunghi anni, un rallentamento si registrò solo nell’arco della prima e della seconda grande guerra, un “fiume” di gente che, desiderando un orizzonte migliore, tentava la carta della emigrazione.
Siamo stati anche noi spettatori, attoniti e commossi, seppur giovanissimi, nella seconda metà degli anni ’50 dell’altro…secolo, in alcune speciali occasioni, sia alla stazione ferroviaria di Praja-Ajeta-Tortora che sul molo del porto di Napoli, dal quale si “staccavano” ad esempio l’Augustus o il Giulio Cesare, di talune “partenze significative”, tra “sventolio di fazzoletti”, “svenimenti”, “grida strazianti”, “bambini piccolissimi mostrati ai padri affacciati alla murata della nave…”, mentre una banda musicale (proprio una fanfara) intonava “partono i bastimenti…per terre assai lontane…”, in quanto la canzone napoletana aveva “melodicamente” già consacrato e reso “cantabile”, da tutti, questo fenomeno, temporalmente lunghissimo e che fu senz’altro doloroso e di massa.
Non sono ricordi “oleografici”, questi appena rievocati, ma fotografie, o meglio dei fotogrammi realistici e veri, seppur difficili da trasmettere e precisare, dopo tanto tempo.
Nel magma della storia della emigrazione calabro-lucana dei primi decenni del novecento, dopo questo modesto “quadro introduttivo”, si richiamano, preliminarmente, alla memoria due giovani fratelli praiesi, uno di venti e l’altro di diciannove anni all’epoca, Antonio e Angelo Sarubbo, che, figli di un ferroviere, nel 1930 decisero di…andare dall’altra parte dell’Atlantico e sbarcarono a Montevideo, in Uruguay, ove, condotte poi all’altare due “figlie di Lauria”, anche loro emigrate giovanissime, Domenica Sarubbi ed Elide D’Angelo (1), dopo aver trascorso una lunga ed operosa vita, adesso “riposano” e dove, grazie ai figli, nipoti e pronipoti, la “saga della dinastia” prosegue.
E’ proprio di un nipote di Angelo Sarubbo che si “tratteggerà”, a grandi linee, con questo scritto, limitato e parziale, la figura sul versante professionale, per la particolarità della sua personale vicenda, soprattutto lavorativa, che ci ha “avvinto” e che sicuramente seppur indirettamente “fa onore” anche alle due regioni di “richiamo” e, anche e in qualche misura, di “radici”, la Basilicata e la Calabria, soprattutto per le mete e i traguardi “tagliati”, nonché per i programmi già in fieri, o futuri, da questo “giovane italo-uruguayano-brasilero” realizzati o in corso.
Mauro Baptista Vedia, infatti, figlio di Graciela Sarubbo, con padre uruguayo, nato a Montevideo cinquanta anni fa, divide la sua esistenza quotidiana con Michelle Boesche, attrice di vaglio (2), dopo aver vissuto anche in Spagna, si è naturalizzato “brasileiro”, per una parentesi ha dimorato in Rio de Janeiro, dove ha assunto la responsabilità della “Radio Sarandi de Uruguay y de la Radio 1000 de Méjico” e collaborato con la televisione “Univision y CBS/Telenoticias”, nonché con la CNN, e poi a S. Paolo, dove si è trasferito, nel 1995, e dove ha ricoperto l’incarico, in prima battuta, anche di “periodista”, giornalista-corrispondente, per l’Agenzia France Press e di “periodista cultural” del giornale “El Paìs” di Montevideo (3).
Intanto, avendo contemporaneamente conseguito, nella locale università, il dottorato in “Arti visive”, con una tesi impegnativa su Quentin Tarantino, che fu pubblicata, Editore Papirus, e che fu “indicata” al Premio “Jabuti”, il più prestigioso della categoria, “accantonò”, pur con rammarico, il giornalismo e si dedicò completamente alla “realizaciòn cinematografica”, al cinema, mettendo a punto un primo, impegnativo cortometraggio, “Alex”, una fiction, che “partecipò”, con risultati più che soddisfacenti, a varie e note manifestazioni, BBC Short Film, London Latin American Film Festival, ecc., in varie “località” sudamericane, Cuba, Uruguay, Brasile, ecc.
Intanto…maturavano i tempi per qualcosa che poteva portarlo sulla ribalta internazionale del cinema: nel 2007 infatti fu prescelto e diresse “La fiesta de Abigaiu” (Abigayl’s party), di Mike Leigh, che ebbe un esito di pubblico e di critica entusiasmanti (più di 50.000 spettatori in una stagione e con una indicazione al Premio Shell, essendo stata prescelta come “miglior commedia” dalla Rivista “Contigo”, mentre il riconoscimento di “migliore artista” andò all’attrice protagonista Ester Laccava…forse anche lei con radici italo-meridionali) e che gli diede la opportunità di “entrare” nel circuito dei teatri più prestigiosi del Sud America, con la direzione di quattro opere che gli “assicurarono notorietà e fama”!
Accanto al teatro, nello stesso periodo, ha diretto pure e tra l’altro un telefilm, selezionato al premio FIPA, in Biarritz, e ha portato a termine un lungometraggio, sempre una fiction, dal titolo “Jardim Europa”, che è stato selezionato nel 2013 per il Festival del Cinema Latino-Americano di S. Paolo ed è stato presentato in anteprima al CINESESC.
Tra le opere “dirette e realizzate” da Mauro Baptista Vedia, negli ultimi anni, ricordiamo Extase, Ligaçoes Perigosas, con Maria Fernanda Candido e Marat Descartes (Teatro FAAP), Os Penetras, il telefilm “A Performance” per la Tv Cultura, già selezionato per il festival Latino-Americano di San Paolo, e, per l’infanzia, il cortometraggio Gangue, ecc.
Attualmente, Mauro Baptista Vedia, è dunque contemporaneamente direttore di teatro, regista di cinema e professore di drammaturgia, avendo anche completato un post-dottorato specifico alla Sorbona di Parigi nel 2012: ha brillantemente, pure e frattanto, organizzato “Il libro del Cinema Mundial Contemporaneo” e ha assunto la direzione della “Associacion Paulista de Cineastas” di S. Paolo.
Manca, ma è nelle sue segrete speranze, come di tutti gli emigrati o figli o nipoti di emigrati, a questo punto della sua esistenza, ricca di soddisfazioni lavorative e culturali, solo…una chiamata dall’italico suolo che è nei sogni di questo “artista a tutto tondo delle arti visive”, il quale fa onore al suo paese natio e di accoglienza e, di riflesso, anche alla nostra penisola, terra dei suoi nonni, e che se utilizzato in qualche “progetto” nostrano, magari anche per una sola stagione, sancirebbe il rinsaldarsi di quel ponte ideale, mai interrotto, tra una parte dell’America del Sud ed il nostro meridione, soprattutto, per una o per quella fetta importantissima di “emigrati di seconda e terza generazione” che, nonostante tutto, continuano a sognare…l’Italia!
Pur nelle difficoltà dell’ora presente, anche per il cinema ed il teatro nostrani, noi non disperiamo e anzi facciamo voti a che qualche influente personaggio del settore, magari con radici lucane (Rocco Papaleo?!) o calabresi, volga lo sguardo e si ricordi…di questo versatile “operatore-autore-artista…nostrano” e ne favorisca il temporaneo…rientro in Patria, per la realizzazione di qualcosa di bello: sarebbe un passo avanti notevolissimo sul piano dei rapporti culturali-internazionali ed una vittoria, lasciate che si esprima anche questo profondo sentimento, della speranza e del buon senso. Intanto…auguri Mauro e “ad maiora semper”!
Giovanni Celico
1-Domenica, alias “Menchina” o “Minchina” come familiarmente era chiamata, cognome della madre Lanziani, “riposa”, dalla fine degli anni ’70 dell’altro secolo, proprio nel cimitero di Lauria (rientrata in Italia per una breve visita familiare purtroppo vi morì), mentre Elide, cognome della madre pure Lanziani, novantacinquenne ancora in splendida forma, figlia di Nicola, orafo ed orologiaio lauriota, trasmigrato in Uruguay a cavallo tra il 1800 ed il 1900, vive tuttora a Montevideo;
2-E con due gatti, Neguinha e Puca;
3-Nel 1998, Mauro Baptista Vedia, appassionato studioso del “cinema realista” degli anni ’80-‘90, ha dimorato anche a Los Angeles e per due mesi vi ha frequentato la “UCLA”, scrivendo molto su quella esperienza sicuramente unica.